In principio fu un elastico. E già da lì, dovevo capire che era particolare e fuori dal comune. Un banalissimo elastico, intrecciato a 8 sul mio ditino adolescente, con la promessa che sarebbe stato per sempre, infinito, così come l’otto che disegnava sulle mie dita.
Poi fu un anello della Breil regalatomi per il mio 17° compleanno, con la frase: “Io so già che tu sei lei, mettitelo quando ti sentirai sicura della stessa cosa”. L’ho indossato all’uscita dall’ospedale dopo che la prima operazione, ormai quasi dieci anni fa, andò bene: perché se eravamo riusciti a stare sulla zattera durante quella tempesta e io avevo continuato a remare per entrambi, allora cosa avrebbe potuto buttarci giù?
Poi fu un anellino comprato da un venditore ambulante di colore, ribattezzato Matumba, durante il nostro primo torneo 24 ore di beach volley. Mi fece salire sulla panchina e tutto raggiante mi disse: “Guarda cosa stiamo facendo… Voglio farlo per tutta la vita con te” e me lo infilò al dito, stringendomi forte a sè. Quell’anellino, a prima vista di bigiotteria, si è rivelato invece essere d’argento puro, resistente al tempo, alle intemperie, all’usura.
Infine, è stato un anello di pietra naturale, comprato a una bancarella in Alexanderplatz a Berlino. Nel bel mezzo del mercatino, si è inginocchiato davanti a me e mi ha detto: “Per me lo è già, ma facciamo che sia per sempre. Vuoi?” e baciandolo, me lo ha infilato al dito, abbracciandomi, tra tutti i cori e gli applausi presenti.
E io che ero qui ad aspettare il classico diamantino, senza rendermi conto che il diamante più bello, più particolare, più introvabile, più sfaccettato ce l’ho incastonato nel cuore e nell’anima. Dai, facciamo che sia per sempre, anche se il nostro per sempre è già cominciato non appena ho fissato i miei occhi nei tuoi quel giorno, ormai quattordici anni fa.